Man Ray
Abbiamo visto come l’antichità classica da riferimento culturale nicciano sia a divenuta quasi una semplice icona della tradizione occidentale. Su questo fronte è particolarmente significativa l’opera di Man Ray. Quest’ultimo nasce a Filadelfia negli USA ed è probabilmente il primo artista americano ad entrare tra i protagonisti di un movimento d’avanguardia. La sua formazione è di tipo artistico ma è segnata un impronta tecnicistica piuttosto che letteraria, anche se il suo insegnante, proveniente dal MIT, amava le divagazioni filosofiche. Questo ci dice già che l’ambiente in cui si forma Ray, segnato dal pragmatismo, dall’utilitarismo e dallo scientismo è del tutto estraneo a ogni forma di classico sia nel senso di classicismo che in quello di grecità. Man Ray ha la fortuna di conoscere Marcel Duchamp durante il suo soggiorno newyorkese e di diventarne amico. Così venne invitato a Parigi dove cominciò a frequentare gli ambienti dadaisti occupandosi di fotografia e, limitatamente, di cinema. Tra le sue foto si avverte un inaspettato interesse per alcune sculture classiche. Per questo americano a Parigi la scultura classica è dunque nulla più che un oggetto che non richiama nessuna memoria interiore, nessun significato profondo. Essa è un segno o addirittura più semplicemente un oggetto. Il primo caso riguarda ancora una volta la sfruttatissima Venere di Milo. E’ ovvio ormai che essa viene usata quasi alla stregua di un’icona pop e quindi non viene usata nonostante sia inflazionata ma proprio per la sua notorietà. Si tratta non di un’opera da esposizione ma di un intervento nella rivista «391» in cui pubblica una foto della Venere accanto a quella di una divinità africana con la didascalia “Black and White”. Come si può facilmente vedere siamo alla traduzione in immagini del famoso battibecco tra Vlaminck e Derain. Ancora una volta si mette la cosiddetta “arte negra” contro l’arte “bianca” dei greci. Ma cosa c’è ormai di greco nella Venere di Ray? Essa è solo il simbolo della scultura occidentale e quindi per esteso della cultura classicista tradizionale come in Dalì. Essa è più vagamente il passato a cui si oppone l’azzeramento selvaggio delle avanguardie. Altri classici verranno usati da Man Ray in composizioni fotografiche o in assemblages. In questi la statua greca perde anche quel valore iconico di antichità per diventare un semplice oggetto plastico, un ready-made. Il busto di Venere legato ha l’effetto di sottolineare proprio il contrasto tra il materiale ordinario costituito dalla corda che contrasta felicemente con la levigata bianchezza dell’oggetto-statua ridotto a semplice frammento. Con Man-Ray si spezza definitivamente ogni residuo legame con l’eredità classica e si comincia a sottolineare la distanza della società industriale e tecnologica da un qualcosa che è ridotto a merce culturale, oggetto da conservare, frammento di una lingua morta di cui si ode solo il suono senza afferrarne le parole.