Michelangelo Pistoletto
Pistoletto è il terzo esponente dell’arte povera da noi qui trattato. Diversamente dagli altri due casi le sue origini non affondano nell’informale, ma nel realismo pittorico. Sono ad esempio del 60 tutta una serie di autoritratti su fondo monocromatico dai toni metallici (bronzo, oro, argento, alluminio) in cui si vede questa figura che si staglia solitaria nel quadro lasciando molto spazio vuoto intorno. Tutto ciò è molto distante dal tradizionale concetto di autoritratto basato sull’inquadratura rinascimentale in cui la centralità spetta al busto. Qui la figura sta dritta in piedi come un’erma, non è ben riconoscibile, in un caso è addirittura voltata e accanto non ha niente; rimane un grande vuoto nella tela in cui non c’è niente. Queste prime opere sono da considerarsi importanti, specie se messe in paragone con quelle successive dei pannelli specchianti a cui l’artista deve la sua fama internazionale. Lì infatti questo processo giunge a compimento e al posto della figura dell’autoritratto dipinta espressionisticamente ci sono immagini fotorealistiche di persone qualunque e al posto del fondo monocromo dai toni metallici vi pone una superficie di metallo completamente specchiante. L’arte di questo periodo pone l’accento sulla melanconia del quotidiano. Tali figure vengono poste a grandezza naturale dando l’impressione di trovarcele davvero dinanzi a noi bloccate nel loro attimo di vita ordinaria, mentre si allacciano una scarpa, mentre si siedono un momento per riposarsi. Tutto questo ha degli addentellati con le tematiche della pop a cui l’artista giunge per via individuale in tempi non sospetti che qui non ci interessa approfondire. Alla metà degli anni Sessanta la sua attenzione si sposta anche agli oggetti, nascono così la serie degli Oggetti in nero o degli Oggetti in meno. E’ in questo periodo che inizia a usare anche gli scampoli di stoffa e che produce la Venere degli stracci. Quest’ultima, realizzata nel ’67 può considerarsi a buon diritto la prima opera di Pistoletto in cui compare il tema del classico. Infatti l’opera è realizzata con un calco di un’intera statua greca dipinta di vernice dorata che sta a sorreggere un grande mucchio di stracci multicolori. In tale operazione assistiamo all’impiego ormai tipico di questa generazione del calco come ready-made, come riduzione della statua classica ad oggetto, oggetto che pur sempre richiama il passato e che viene messo a contrasto con un materiale che non gli è proprio, rappresentato nel nostro caso dagli stracci. Gemano Celant pur dedicando un paragrafo a questa opera non si interessa minimamente alla problematica del classico ma casomai a quella della copia che ai suoi occhi costituisce un equivalente della duplicazione offerta dalla riflessione degli specchi. Ciò che lo interessa sono invece la tattilità dei colori e quindi della luce. Tutto ciò lascerebbe pensare che la presenza del classico nell’opera di Pistoletto – perlomeno in questa fase – vada considerata poco più di una coincidenza fortuita. Pistoletto però ritorna su questo tema. Verso la fine degli anni Sessanta il suo interesse si concentra sul teatro di strada con la compagnia Zoo. Ebbene anche in questo contesto, in un’occasione Pistoletto ripresenta la Venere degli stracci con la differenza che la Venere non è più incarnata da una riproduzione in cemento di una statua classica ma da una ragazza in carne e ossa che posa nuda nella stessa postura della Venere. Viene allora da pensare che una delle possibili chiavi di lettura di quest’opera possa essere cercata nel rapporto tra l’emblema della nuda femminilità esemplificata al suo grado massimo da Venere con la stoffa e il vestito esemplificati al loro grado minimo dal cumulo di stracci. Abbiamo così che il richiamo al classico funge sempre a gioco di contrasti e opposizioni, come ad esempio in Kounellis, ma che lo fa in senso emblematico e non per la rivendicazione di una qualche eredità classica. Si tratterebbe cioè di classico senza classicismo. Un ulteriore esempio di utilizzo di materiale classico di questi anni è costituito dalla statua etrusca dell’oratore che viene posto dinanzi a uno specchio, nell’opera intitolata L’etrusco del 1976. In questo un richiamo all’elemento classico in quanto tale è però ineliminabile. La scultura classica è non è stata scelta per il tema dell’oratoria ma per la sua plasticità classica, per quel suo braccio che si protende fino a toccare lo specchio, perché rappresenta l’identità classica messa davanti allo specchio; questa volta veramente duplicata dall’immagine riflessa. Dobbiamo però notare che anche qui si tratta di un fatto occasionale che non è ancora sufficiente a delineare una poetica pistolettiana del classico. Un’altra operazione di questo genere, in cui il richiamo al classico, se lo è stato fatto consapevolmente, è ancor più evanescente è costituito da una rappresentazione teatrale, Anno Uno del 1981, in cui gli attori sorreggono con le loro teste delle strutture architettoniche. Il riferimento più immediato che viene in mente al vedere una cosa simile è quello alle cariatidi dell’acropoli di Atene. E’ difficile che l’artista stesso possa non essersene accorto. In special modo, se si pensa che lui è quello stesso artista che aveva sostituito alla Venere una donna, è facile pensare che possa aver sostituito le cariatidi con altrettante persone in carne ed ossa. Fin qui le opere legate al ciclo dell’arte povera. Nei primi anni Ottanta però l’arte di Pistoletto subisce una svolta. Inizia una nuova fase dedicata alla scultura in cui propone delle grandi opere in pietra basate sul tema della composizione di differenti frammenti scultorei. Per quel che attiene il discorso del classico le opere più significative sono quelle che si situano all’inizio di questo nuovo ciclo. In particolare la serie intitolata Il gigante, in realtà si tratta di un gruppo di opere che hanno più o meno lo stesso soggetto e lo stesso titolo, propone una figura appunto gigantesca composta dalla sovrapposizione di un torso maschile a un pezzo di statua femminile e così via. In questo tipo di operazioni la questione del classico assume un rilievo fondamentale anche perché non si presenta solo la classicità come citazione nella forma della copia in cemento o in gesso che sia, ma si presenta un richiamo al classico come imitazione dell’antico e del classicismo rinascimentale michelangiolesco nella forma di una ripresa stilistica. Ci troviamo perciò a tutti gli effetti con una forma tipica di classicismo. In tale impostazione dicevamo si avverte molto fortemente l’influsso della scultura michelangiolesca che emerge con una forma e con una monumentalità del tutto inaspettata. Si potrebbe dire che se in questo momento si assiste in Italia al ritorno alla pittura, in “Michelangelo” Pistoletto si assiste al ritorno alla scultura. Una scultura che si richiama al cuore stesso della tradizione scultorea evocando vagamente la scultura classica greca, quella ellenistica apprezzata già nel Rinascimento in opere come il Torso Belvedere, che costituirono un modello per Michelangelo, in tutto trattato con la tecnica del non finito michelangiolesco. Ci troviamo quindi con una tradizione classica che si avviluppa su se stessa. Tra l’altro nell’evocazione del Torso Belvedere, si ricorda come già il classicismo cinquecentesco avesse già scoperto l’estetica del frammento in cui la potenza emanata dai muscoli in tensione non si perde per effetto dell’incompletezza della statua, ma al contrario aumenta nel sublime gioco dell’immaginazione. In questo senso Michelangelo Pistoletto esalta queste intuizioni già presenti in nuce all’interno dell’estetica rinascimentale-manierista portandole a un esito compositivo che allora non sarebbe ammissibile ma che in qualche modo ricorda i giochi di corpi scolpiti da autori come il Giambologna. Tuttavia rimane da chiedersi se si è ancora nel territorio dell’avanguardia o si è già passati in quello, non tanto del citazionismo, ma casomai della Transavanguardia. Infatti la successiva opera scultorea di Pistoletto, pur non avendo mai aderito alla transavangurdia presenta quel mix di neo-simbolismo e neo-espressionismo che sono la chiave di quest’ultima e in cui le istanze classiciste vanno rapidamente scomparendo.