Anne e Patrick Poirer
Anne e Patrick Poirer sono una coppia di artisti francesi che debutta sulla scena artistica alla fine degli anni ’60. Il loro interesse per l’antichità si manifesta quasi immediatamente. Nel 1967 realizzarono delle valigie le quali contenevano ognuna degli oggetti di uno sconosciuto. Insieme esse costituivano una serie di indizi di un’esistenza che stava allo spettatore ricostruire. Il loro lavoro quindi è fin dall’inizio basato su delle tracce. Un lavoro di poco successivo a questo è del 1970 e s’intitola cinque Hermes. Esso consiste in una istallazione con delle teche in cui reperti archelogici (ovverto le erme) e campioni botanici vengono messi in relazione tra loro. Il lavoro dei Poirier si manifesta da subito come un lavoro di carattere concettuale sulle modalità della catalogazione dei saperi, e ancora della raccolta delle tracce che però procede in senso colto, storico, rivolto all’investigazione del passato. Il loro modo di procedere è quindi molto diverso da quello dei concettuali veri e propri che svolgevano invece un’investigazione analitica del presente dell’arte. La loro attenzione non è di carattere analitico e non riguarda l’arte in quanto tale. Il loro è un lavoro sulle tracce del passato sui segni da cui procedono le investigazioni sia storiche che scientifiche. Di poco successivo a questo lavoro è un altro, intitolato Ostia Antica (1971-1972), in cui la coppia francese comincia a produrre quelle installazioni che diverranno tipiche del loro stile. In quest’opera viene mostrata una ricostruzione in miniatura di tutta l’area degli scavi di Ostia Antica, con grande precisione per i dettagli. Si passa così senza rottura di continuità dall’interesse per le tracce della memoria a quella per la topografia urbana che diverrà anche topografia mentale. L’opera è inoltre accompagnata da testi. Con una tecnica simile vengono prodotte altre opere come Isola Sacra fino alla più complessa Domus Aurea in cui l’opera è divisa per così dire in vari reparti (Le Réduit des Antiques, Le Jardin Noir, La Biblioteque Noir). Il tema della ricostruzione della città o delle rovine antiche permane anche nelle opere degli anni Ottanta. In questo periodo però vi si aggiunge un altro tema che diverrà emblematico della loro arte, quello del grande frammento di occhio ellenistico in connessione con una grande freccia metallica. Si potrebbe a questo punto rimproverare ai Poirier di essersi lasciati andare a un’estetica del sublime attraverso installazioni di carattere spettacolare. Bisogna però notare che il discorso dei due artisti non si è di fatto spostato su terreni più facili dal punto di vista della gradevolezza estetica o più convezionali. I Poirier costituisco uno dei rari casi di arte alla moda negli anni Ottanta che non ha concesso niente al ritorno all’ordine, ma che ha semplicemente e coerentemente continuato a percorrere una stessa strada attraverso un processo di accumulazione delle istanze poetiche. Il loro successo di quegli anni è dovuto solo alla convergenza della loro ricerca con gli interessi eruditi e archeologici che in quel momento di stavano diffondendo. In questo senso l’arte dei Poirier non ha mai smesso di essere a suo modo d’avanguardia. Un altro tema che si va aggiungendo tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta è quello della gigantesca colonna in rovina. Qui l’idea del sublime è inevitabile. Si ha anche la sensazione che con l’avvento degli anni Novanta i Poirier cerchino un modo per semplificare il loro messaggio per ridurlo all’essenziale, quasi a un’icona a un simbolo. La stessa colonna smette di essere marmorea e scanalata per diventare liscia e metallica come nel caso dell’opera esposta al museo Pecci di Prato. Assieme a questi aspetti che possono essere definiti quasi di facciata, troviamo sempre all’inizio degli anni Novanta un recupero e un approfondimento del filo logico del discorso teorico, portato avanti da loro fin dalle origini. Emblematico a questo riguardo è un’opera intitolata Mnemosyne in cui ritroviamo le varie tappe del loro percorso riorganizzate entro una visione unitaria che pone tutto questo bagaglio di frammenti, rovine, tracce e città all’interno della mente. Lo spazio ellissoidale della scatola cranica diviene ora essa stessa città, ora anfiteatro, o organigramma della catalogazione. Ritornano così le teche, le tracce e i ruderi, tutti sotto il segno della memoria. Una memoria che è rivolta al passato ma che non abita il passato in quanto è essa stessa il principio della sua catalogazione e comprensione.
Il classico nei Poirier è forse l’esempio più interessante di dialogo con l’antichità di questa fine secolo all’interno delle arti visuali, in quanto esso non vi è ridotto a ready-made, non è semplice frammento esteticamente gradevole, non citazione reazionaria ma sforzo di reinventarsi un dialogo con il passato in modo vivo, senza cadere nelle trappole di facili neo-neo-classicismi.