Antonio Trotta

Antonio Trotta

Antonio Trotta ha uno speciale rapporto con il classico dovuto innanzi tutto al materiale che usa, il marmo. La sua caratteristica saliente a un primo colpo d’occhio sta nel virtuosismo, nella padronanza del mezzo. Questa confidenza con il marmo però ha anche dei risvolti poetici. La più illustre storia della scultura in marmo è stata quella tracciata dall’antichità classica e dai vari classicismi e neoclassicismi che si sono succeduti nel tempo. Quello di Trotta comunque non è un semplice classicismo, né il suo lavoro può essere incluso nei tratti del cosiddetto anacronismo. La vicenda di Trotta tra l’altro è del tutto particolare. Egli non ha vissuto sempre in Italia, avendo abitato per un lunghissimo periodo in Argentina, il che ha fatto in modo che egli vedesse le vicende delle neoavanguardie e della loro crisi con un certo distacco. Ciò gli ha in parte nuociuto in quanto lo ha condannato a una posizione periferica nella scena artistica italiana presso la quale il suo lavoro ha avuto una qualche eco solo nei primi anni Ottanta. Nonostante il virtuosismo e la formazione accademica Trotta non recupera l’iconografia ottocentesca o le forme tipiche della scultura figurativa. Nel caso dell’arte povera o anche di artisti che svolgono un corso di ricerca parallelo, come ad es. Parmiggiani, noi abbiamo assistito ad un impiego della citazione che si attua tramite l’utilizzo di calchi in gesso o cemento di statue antiche. Il classico viene cioè ripreso nella forma della statua anche se tale statua non viene classicisticamente imitata come modello, ma semplicemente citata nella forma della copia. Ciò spesso avviene poi con la citazione della sola testa classica o del busto. Tutto ciò presuppone una determinata concezione della classicità che la porta a coincidere con una visione umanistica del mondo, in cui l’uomo o la figura umana espressa fondamentalmente attraverso il suo volto, costituisce il protagonista assoluto e ineliminabile della scena. Si propone così piuttosto ingenuamente un’equivalenza tra classicità e soggetto umano presentato nella forma tipica della statua. Il lavoro di Trotta da questo punto di vista è di grande interesse perché esorbita da questa visione scontata e limitativa del classico, così come esce dalla cultura della citazione basata sulla riproduzione “meccanica” della statua attraverso il calco. Trotta rivendica il suo ruolo di scultore. Lui non fa dei ready-mades in cui prende degli oggetti, preferisce imprimere con la scultura una forma alle cose. Da questo punto di vista il suo atteggiamento può apparire più tradizionale di quello dei suoi colleghi dell’arte povera. Ma egli poi spiazza questa immagine di tradizionalità, in quanto scalza completamente il soggetto umano dai suoi lavori. Egli non declassa la statua a oggetto, preferisce piuttosto scolpire oggetti invece che statue. Ecco allora che Trotta ci propone colonne, drappi, il tutto improntato al gusto e alle forme dell’antichità classica o del classicismo senza tuttavia proporre soggetti umani.