Claudio Parmiggiani
L’arte di Parmiggiani, pur movendosi fuori dal gruppo dell’arte povera ha una storia simile a quella dei poveristi. Parmigiani comincia la sua esperienza artistica a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta con l’informale. Dopodiché egli viene a contatto con la nozione di ready-made anche se, in un primo momento, lo fa in un maniera che può sembrare in qualche modo debitrice del new-dada americano. Fin dalle prime opere però ci accorgiamo di una fondamentale differenza tra il suo impiego degli oggetti e quello che ne fa il new dada. Egli infatti ne fa un uso tendente al poetico, all’associazione colta di elementi che hanno di per se un carattere simbolico. Tutto ciò è molto lontano dalla semplice composizione di oggetti banali. Lo spessore simbolico, fin troppo smaccato, degli oggetti che compone, lo porta subito verso un tipo di arte caratterizzata da una compiaciuta erudizione. Questo lo avvicina a una pratica citazionista che però non implica il ritorno alla pittura. Nei disegni di Parmiggiani si può seguire bene questo cammino. Si vede infatti che l’artista parte da schizzi astratti che pian piano divengono forme umane che stanno sospese nello spazio. In queste assistiamo a una forte tematizzazione del rapporto luce ombra che diverrà un elemento simbolico esplicito in alcuni disegni successivi in cui possiamo osservare uomini che lottano con la propria ombra o tentano di fustigarla. Tralasciando il fatto che tali temi si prestano ad una lettura psicanalitica fin troppo scontata è da osservare il fatto che l’artista fin dagli anni Settanta indulge in disegni di carattere simbolista che preannunciano i dipinti degli anacronisti, anche se lui si rifiuterà sempre di tornare alla pittura figurativa. Dicevamo all’inizio che l’opera di Parmiggiani è affine per certi versi a quella dell’arte povera, infatti, nel 1968 crea opere come lo Zoo geometrico che si pongono sul versante del reimpiego del naturale o del rapporto tra naturale e artificiale su cui lavorano in quel momento anche artisti come Pascali, Penone e Gilardi. Questa tematica viene proseguita in opere come Malanngan del 1972, ma a partire dagli anni Settanta Parmiggiani produce opere che hanno per oggetto l’arte stessa, anche se ciò viene fatto a volte con dei wiz e non con un atteggiamento analitico. Queste opere hanno un sapore più concettualeggiante e tra esse possiamo ricordare Adagio musicale del 1970, in cui viene posta una lumaca su un pentagramma, Tela su tela dello stesso anno, in cui vengono sovrapposte due tele bianche, le Delocazioni, in cui si lasciano ammirare gli spazi bianchi lasciati dalle tele tolte. In un’altra operazione intitolata Versunkenheit del 1975 vengono esposte in una galleria solo tele bianche. Fin qui sembrerebbe esserci un intento analitico che però presto dilegua verso un atteggiamento citazionistico con operazioni come Sineddoche del 1976, in cui espone una riproduzione del quadro di Dosso Dossi, nel quale si vede Giove che dipinge su di una tela bianca alcune farfalle e, accanto a tale riproduzione, una tela con le farfalle dipinte con davanti uno sgabello e una tavolozza (ovvero la tela che sta dipingendo Giove). Se già l’opera di Dossi era un lavoro di arte sull’arte, in quanto vi veniva rappresentata l’attività del dipingere e quindi era una sorta di arte al quadrato, quella di Parmiggiani è un’arte al cubo, in quanto cita Dosso Dossi che cita la pittura. Un discorso simile si ha con De perspectiva del 1977, in cui mostra tre tavolini imbanditi, uno più piccolo dell’altro, come oggetti reali che vengono portati fuori dallo spazio illusorio della simulazione prospettica e in cui il restringimento delle dimensioni, che nella prospettiva ha un senso, si perde nell’istallazione reale. Da questi aspetti meta-artistici l’artista prende il via per una serie di riferimenti alla cultura del passato (in particolar modo rinascimentale) che viene ricordata in vari modi (costellazioni, musiche, labirinti). Tutto ciò prepara infine la svolta degli anni Ottanta in cui i protagonisti della maggior parte delle sue opere divengono i calchi in gesso dei volti classici. Questi vengono variamente trattati, colorandoli e accostandoli ad altri elementi, che possono essere tavolozze colorate, farfalle, rami, colori ecc. Parmiggiani arriva così alla creazione di un proprio esclusivo linguaggio compositivo poetico basato sulla citazione colta, che ha come riferimento costante la classicità. Detto questo, bisogna anche ricordare che questi elementi che emergono alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta non sono completamente nuovi alla produzione dell’artista. Già nel 64 aveva realizzato un’opera intitolata La mano, in cui poneva alcuni frammenti di una mano in gesso sopra a stralci di uno spartito musicale e l’anno seguente aveva realizzato un’opera, La notte in cui usava il calco in gesso di viso femminile. Questi elementi sono quindi riemersi e hanno finito, nel caso del calco con il diventare dominanti anche se all’interno di un processo che li ha portati a una maturazione poetica. Il classico dunque si ritrova sparso già nelle radici dell’opera di Parmiggiani, prima con riferimenti sporadici e poi con il riferimento alla cultura rinascimentale. Ma qui ancora il classico appare come ripresa di un precedente classicismo o del Rinascimento stesso come momento classico e cioè massimo della cultura europea. Diversamente dal 1979 in poi il classico come antichità greco-romana viene chiamato in causa direttamente come mezzo per articolare un grande ventaglio di evocazioni erudite. Si pensi a un’opera come Phoebus in cui compare il calco di un busto femminile dipinto in parte di giallo, come a sottolineare la luce che la illumina, con una conchiglia marina posta vicino all’orecchio, come quando si vuole ascoltare il cosiddetto “rumore del mare”, il quale sta adagiato su di un piano sul quale sta anche una tavolozza, sulla quale giacciono oltre ai colori alcune farfalle.
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