Luca Maria Patella
L’opera di Luca Maria Patella comincia negli anni Sessanta con un interesse per mezzi come la fotografia che lo spingono a fare sperimentazioni molto estranee all’arte pittorica. In Patella non c’è una discendenza dal quadro e dalla pittura. Il suo approccio è legato ad altri media, alla fotografia, all’istallazione, alla performance. Patella assume come implicita la lezione duchampiana e si rapporta a una sperimentazione in cui oggetti e situazioni sono trattati come opere d’arte al di là di una loro presunta esteticità. Le sue, più che opere nel senso tradizionale, sono operazioni. Qui gli aspetti della documentazione e dell’esperienza (anche semplicemente intellettuale) hanno la meglio sulla fisicità della scultura e della pittura. Patella comincia la sua attività con una serie di sperimentazioni su base fotografica come il Mare firmato (1965) in cui si vede una foto del mare con impressa la sua firma attraverso una tecnica puramente fotografica. L’anno seguente sempre con la tecnica fotografica realizza Si fa così, un’opera dai toni quasi pop. Nel 1967 realizza un filmato e una serie di fotografie intitolate Terra Animata in cui si assiste a una serie di misurazioni del terreno di tipo quasi concettuale. L’attenzione di Patella però, a differenza dei concettualisti americani, è più legato ai comportamenti che non al problema analitico della misurazione. Non a caso sempre in quello stesso periodo realizza una serie di opere che hanno come comune sottotitolo la dicitura Analisi del comportamento. La sperimentazione continua nel 1969-1970 con i lavori sulle immagini semisferiche e con l’uso di diffusori acustici. Il che significa che Patella va interessandosi della cosiddetta arte multimediale. Tale ricerca sfocerà nella famosa Foresta parlante (il cui titolo esatto è Un boschetto di Alberi Parlanti e profumati, e di Cespugli Musicali, sotto un Cielo) esposta alla Walzer Art Gallery di Liverpool. A questo punto le installazioni multimediali o “parlanti” si moltiplicano durante gli anni Settanta assieme alle performance. Allo stesso modo prosegue anche la sperimentazione fotografica con le fotografie stenopeiche. Nel corso degli anni Ottanta invece il percorso di Patella si fa più attento alle problematiche storiche assimilando alcuni aspetti della cultura della citazione senza però avere alcuna simpatia per il ritorno alla pittura. Si accentuano piuttosto gli interessi per gli aspetti psicanalitici, per le simbologie, i giochi di parole, i motti di spirito. Tracce di questa sua attenzione è testimoniata dai lavori sul letto di Duchamp o dall’interesse per Diderot. E’ in questo momento che alcuni elementi legati al classico emergono nell’arte, che si fa sempre più erudita, di Luca Maria Patella. L’attenzione per il classico nella sua opera va intesa relativamente ai due sensi del termine e cioè quello legato all’antichità e quello legato al classicismo. Si può dire che Patella si imbatte più spesso nel classicismo di quanto non accada con l’antico che, tuttavia, non ha un’importanza minore. Partendo dal classicismo non si può fare a meno di notare le citazioni tempietti classicistici neo-rinascimentali nella sua opera. Molto spesso le sue installazioni associano a elementi attuali altri dal tono quasi antiquario (si pensi ad esempio alle strutture in legno concave in cui sono rappresentate le volte stellate). Un’opera in cui questo dialogo col classicismo acquista un valore rilevante si ha nel caso del lavoro dedicato alla caduta di Fetente, un’opera giovanile di Gian Battista Piranesi. A prima vista più che un’opera sembra uno studio storico-artistico. Vi si analizzano con scrupolo tutti gli elementi iconografici. Il disegno piranesiano infatti è denso di simbolismi che si sovrappongono modo tale da non renderli neanche chiaramente leggibili. Patella isola e spiega i diversi elementi iconografici e tenta anche di fornire una possibile ricostruzione del quadro d’insieme dell’opera. La spiegazione che però ci fornisce Patella non è una spiegazione storica o iconologia ma è una spiegazione di tipo psicanalitico. Qui, nelle alchimie linguistiche tipiche dell’interpretazione psicologica e in assenza di possibili riscontri non sappiamo mai dove finisce l’indagine “scientifica” dell’opera e dove comincia il contributo creativo del Patella artista. A Patella non interessa chiarire questa ambiguità. Un caso invece di riferimento diretto al classico inteso come antico lo abbiamo in una performance che l’artista ha tenuto tra le rovine della Villa di Orazio a Licenza. Il titolo dell’opera è Exegi monumentum aëre perennius. Esso è ripreso dalla frase latina “exegi monumentum aere perennius” che vuol dire “ho costruito un monumento più duraturo del bronzo”, ma che ora, grazie all’aggiunta della dieresi sulla “e” di “aere” viene a mutare il suo significato così: “ho costruito un monumento più duraturo dell’aria”. La frase subisce così un repentino scombinamento grazie a un motto di spirito da cui scaturisce una possibilità creativa di reinventare la situazione. Nella performance una portatrice d’acqua in abiti antichi si aggira tra i ruderi, mentre una coppia di attori declama una serie frasi latine opportunamente interpolate da Patella. Come si può vedere da questi due soli esempi il rapporto di Patella con il classico è diverso da tutti gli altri. Per lui il classico non si traduce nella copia in gesso da usare come ready-made, non è nemmeno un riferimento per sculture o altro genere di oggetti. Esso è più che altro un repertorio culturale in cui entrare con acuta ironia sia per interpretare che scombinare le carte. Patella quindi non è neanche propriamente un citazionista ma è casomai una strana forma di umanista che si aggira divertito nei labirinti del sapere.