La chiave nicciana e l’enigmaticità del classico

La chiave nicciana e l’enigmaticità del classico (De Chirico, Savinio, Delvaux, Resnais, Greeneway)

Un’ultima modalità è quella che legge il classico non come un elemento morto di cui piangere la fine, né come un semplice pezzo della cultura ufficiale da citare, ma come una sotterranea corrente culturale che continua ad operare nella nostra cultura cristianizzata e che si lascia cogliere ormai genuinamente solo come elemento misterioso ed enigmatico, che irrompe come una piega o uno squarcio nel tessuto culturale della modernità. Ricorrendo a una semplificazione storica potremmo dire che la modalità accademica corrisponde all’immagine del classico diffusasi in Europa nel Settecento, in quanto guardava all’antichità come civiltà razionale, ordinata e solare. L’antichità quindi è il regno dei modelli che vanno studiati nelle loro proporzioni equilibrate. Questa si candida a divenire cultura ufficiale e a proporre una visione positiva dello stato e dell’arte. La modalità lirica corrisponde invece alla prima metà dell’Ottocento in cui imperversa appunto l’idea romantica di una separazione tra l’incanto del mondo antico e il realismo del mondo moderno. La modalità enigmatica è quella che invece trova dei tratti di continuità tra modernità e antichità non sotto il segno delle positività razionali ma sotto quello dell’inquietudine e dell’irrazionalità. L’elemento antico diviene inquietante perché esso ci è familiare in quanto il classicismo ce lo ha reso tale ma allo stesso tempo estraneo in quanto ne scopriamo degli elementi selvaggi. Il dionisiaco esprime appunto questo lato oscuro della grecità e Nietzsche ne fa un grimaldello per scardinare la visione precedente basata sul candido e ingenuo sentimento della natura, illuminato da un altrettanto candida e razionale ricerca dell’equilibrio. Nietzsche riscopre una Grecia tanto melanconica ed instabile quanto l’Occidente contemporaneo, anche se le modalità in cui questa si manifesta divergono. I fratelli De Chirico, forse grazie all’infanzia trascorsa in quei luoghi hanno una visione del classico meno idealizzata e più pronta ad accettarne gli aspetti irrazionali che Nietzsche ne mette in luce. Giorgio de Chirico in particolare coglie il carattere melanconico del meriggio nicciano mettendolo in sintonia con la propria melanconia e quella della cultura classica che intende evocare. Ne risulta un’atmosfera carica di cupa tensione, come se fosse il preavvertimento di qualcosa di terribile. Una terribilità che ora si sa non essere più in contrasto con l’essenza della cultura classica. Savinio sottolinea invece, più che una tensione melanconica, uno scatenamento di una realtà delirante che si intravede dalle crepe del reale e che è per questo metafisica. Sia nel caso di De Chirico che di Savinio questa realtà “altra”, sia essa melanconica o sia essa stolida e scombussolata, non è sprofondata nella virtualità di un passato da citare, ma è presente, contemporanea alla vita dell’artista. Quindi De Chirico anche quando copia accademicamente le statue non è mai un vero accademico perché esso non si limita mai a portare una citazione precisa e corretta, ma al contrario egli tenta semplicemente di descrivere il suo universo visionario. Savinio addirittura si spingerà a disegnare gli Dei che si affacciano tra i palazzi di Roma. Il surrealismo non saprà cogliere che in parte questa impostazione, in quanto scinde questo universo delirante e visionario dal classico, modernizzandolo e riducendo il trapassamento nella dimensione mitica a un’incursione nella dimensione secolarizzata dell’inconscio. Lo scambiare il mito per l’inconscio significa, tra l’altro, cercare, seppure involontariamente, di disinnescare il potenziale esplosivo di una dimensione culturale (e quindi collettiva) non cristiana e non moderna, dentro la società occidentale del Novecento, per ridurla a una dimensione personale, individualista e moderna, di certo più compatibile con la concezione protestante dell’individuo tipica del liberalismo. La psicoanalisi ha costitutivamente un progetto normalizzatore al quale non ci si può sottrarre, neanche rivendicando la libertà dell’inconscio, perché già parlare di inconscio significa riconoscere come sconfitte le ragioni di un mondo talmente altro da essere profondamente incompatibile con l’individualismo borghese. Tra tutte le prospettive del classico questa è sicuramente la più vivace e disturbante. Certo essa non è rivoluzionaria di per sé, nel senso sociale del termine, ma è problematica proprio dal punto di vista della concezione della normalità. Anzi è interessante notare come essa emerga in situazioni in cui non è contemplata una rivolta sociale ed possibile solo una rivolta interiore che si manifesta come angoscia, come terribilità, come incombenza, come pericolo dell’annullamento del tempo. Anche in Alain Resnais si avverte la stessa tensione. La cornice architettonica classica di Marienbad e dei suoi giardini sono la quinta perfetta di un incubo da cui è impossibile uscire, in cui il tempo mentale dell’immaginazione usurpa e sopravanza quello reale dei nessi causa-effetto. Così si ha la sensazione di girare a vuoto, come di una catena che non si addentella sull’ingranaggio del tempo lineare. Si tratta di situazioni oniriche in senso surrealista, ma anche di situazioni mitiche in senso metafisico. Lo stesso discorso può essere fatto per i quadri di Delvaux in cui non c’è evoluzione, in cui il tempo si arresta per raccontare sotto infiniti punti di vista diversi, sempre la stessa storia incongruente dominata più o meno sempre dagli stessi personaggi. La modernità non sopporta il tempo statico della cultura arcaica e questo gli si ripresenta angosciosamente. Un discorso simile può essere fatto anche per l’intreccio giallistico, tanto arguto quanto in fondo insensato, dei Giardini di Compton House o di Giochi nell’acqua di Peter Greenaway. Qui il classico manifesta il suo portato angoscioso ed inquietante legandosi direttamente alla morte che è collocata in un quadro generale di indifferenza per il tempo lineare a favore di quello delle concatenazioni simboliche. D’altronde non si dice classico ciò è “massimo” al di là dello scorrere del tempo?